Atlante delle isole remote. Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò – Judith Schalansky

«Consultare le carte geografiche può alleviare il desiderio di viaggiare in paesi lontani che esse suscitano e addirittura sostituire il viaggio, ma allo stesso tempo offre molto di più di un appagamento estetico. Chi apre le pagine di un atlante non si limita a cercare i singoli posti esotici, ma desidera smodatamente tutto il mondo in una sola volta». Atlante delle isole remote. Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò di Judith Schalansky (Bompiani) è insieme un inno al viaggio, all’avventura e alla scoperta e la constatazione che per viaggiare non serve per forza muoversi. Basta aprire un atlante e ogni luogo visitabile risulta immediatamente a portata di mano.

La cartografia è un’arte nobile, che si destreggia fra astrattismo e concretezza, oggettività e interpretazione. È questione di punti di vista, di prospettive, che spesso e arbitrariamente includono o escludono brandelli di terra. Le isole, quelle più piccole, più dimenticate, più selvagge e recondite. Quelle relegate ai confini della Terra e delle carte geografiche, «le note a piè pagina della terraferma». Minuscoli continenti disabitati in mezzo a enormi isole civilizzate. Nel corso dei secoli, vengono scoperte più o meno casualmente da esploratori passati alla storia. Vi si recano cercando tesori, solitudine, natura incontaminata, mondi a sé stanti. A volte vi trovano quello sperato e vi si sviluppano piccole comunità; altre, vengono abbandonate perché ritenute inospitali, maledette o semplicemente inutili. Ogni volta, però, l’esploratore diventa non solo scopritore di una nuova terra, ma anche suo inventore e creatore, poiché rende noto all’umanità qualcosa che prima non esisteva, almeno non sulle carte geografiche.

Le isole sono perfetti ecosistemi indipendenti, luoghi mistici isolati dal resto delle terre in cui possono prendere vita società utopiche così come le più terribili tirannie. Possono essere innocenti paradisi in terra così come trasformarsi in inferni di punizione ed esilio, discariche del mondo in cui raccogliere tutto ciò che è scarto indesiderato e in cui l’uomo si fa bestia, mostro nel suo stato più violento e primordiale. Sulle isole più sperdute, lontano dagli occhi e dalla morale umani, i più elementari diritti possono essere calpestati e dimenticati. Tanto che l’autrice afferma che «Può darsi che il paradiso sia un’isola. Lo è anche l’inferno».

Ma l’isola è anche uno spazio teatrale con un immenso potenziale narrativo, perché tutto ciò che accade qui si presta a diventare materia letteraria. Non solo perché è un luogo in cui si sviluppano mondi indipendenti, ma anche perché sono terre in cui verità e fantasia, realtà e assurdità, si fondono, dando vita a storie epiche. Bellissime e terribili.

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